Probabilmente ai più le parole Gay Pride e Thailandia faranno immaginare un evento abituale, ad alto tasso di favolosità. E sono sicura che siano davvero pochi i ben informati in grado di sapere che a Chiang Mai negli ultimi dieci anni non è stato possibile organizzare un Pride.
Il 2009 infatti può essere definito l’anno nero della comunità Lgbtiq thailandese. Il 21 febbraio 2009 l’orgoglioso corteo venne interrotto con violenza dagli esponenti della fazione politica delle “Magliette Rosse”, che esponevano cartelli offensivi e contestavano la battaglia per il riconoscimento dei diritti. Va ricordato anche che pochi giorni prima, nel corso di un talk show televisivo, uno dei principali esponenti dell’attivismo Lgbtiq, Natee Teerarojanapong, attaccò il presidente del comitato organizzatore del Chiang Mai Gay Pride, Pongthorn Chanleun, allora direttore di MPlus Chiang Mai.
Questo creò una grave divisione interna e una delegittimazione dell’operato del comitato organizzatore del Pride di Chiang Mai. Da allora le associazioni locali hanno continuato ad operare, mantenendo un basso profilo, con poche apparizioni pubbliche, ma lavorando in ambito formativo ed informativo.
E finalmente si arriva alla giornata di ieri! A dieci anni esatti da quel triste 21 Febbraio 2009!
Sicuramente un Pride che non dimenticheremo, carico di emozioni e assolutamente liberatorio, organizzato alla perfezione. Base di partenza il Chiang Mai Religion Practice Center, un centro di aggregazione interreligioso. Sono arrivata in anticipo rispetto all’orario di partenza e ho potuto così assistere alla parte finale dell’organizzazione. Molti i giovani impegnati a creare cartelloni colorati e a coordinare i gruppi per la sfilata. Una ragazza giovanissima si avvicina per darci le informazioni principali e ci spiega che abbiamo diritto a due bandierine e alle bottigliette di acqua gratuite. Nell’attesa vedo arrivare i diversi gruppi, il piazzale si affolla con la presenza delle varie anime del nostro mondo. Poi finalmente si parte, finalmente il Pride torna ad attraversare le strade di Chiang Mai preceduto dalla banda musicale in un tripudio di arcobaleni.
Lungo il percorso non incontriamo magliette rosse o alcun tipo di contestazione ma soltanto volti un po’ stupiti, ma molti accolgono il corteo con applausi e sorrisi. Il corteo termina nel piazzale del Tapae Gate, sul palco si susseguono momenti di varietà e poi alcuni interventi dei rappresentanti delle varie organizzazioni. Tutti ricordano gli eventi di dieci anni fa, quella violenza che sembra pesare ancora come una ferita aperta. Questa parte istituzionale si conclude con l’accensione delle candele che andranno a ornare il simbolo della pace formato con petali di fiori al centro della piazza. Poi il rintocco di un piccolo gong segna l’inizio di tre minuti di meditazione silenziosa nel ricordo delle vittime della violenza omotransfobica.
Al termine il palco si rianima per la parte conclusiva, prima il gruppo Youth propone una messa in scena degli eventi del 2009 in forma di balletto, che termina con la pacifica conversione dei soggetti omofobi.
Poi a concludere c’è l’elezione del titolo di Chiang Mai Gay Pride Ambassador.
Ci sono Pride che non potrai dimenticare, di solito il primo a cui si partecipa, quelli in città con cui hai un legame particolare, per me Napoli e Bologna, ma questo di Chiang Mai è stato davvero particolare per l’intensità emotiva, potrei definirlo il Pride del riscatto. Questa sensazione era davvero palpabile nel momento in cui siamo arrivati nel grande piazzale, quasi una riconquista dello spazio e della visibilità. Ma a riportarmi a terra è bastato cogliere al volo una frase in italiano scambiata in un gruppetto di giovani turisti: “Va be’ mo’ se quello è un trans, è un trans che je voi di’?” Quanta strada ancora da fare!
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