È in uscita, l’8 maggio, il nuovo romanzo di Franco Buffoni, Due pub, tre poeti e un desiderio, pubblicato dalla casa editrice Marcos y Marcos: un libro che, in linea con altre interessanti pubblicazioni dell’apprezzato autore lombardo, fonde la passione dello studioso e quella del militante, l’impegno filologico e la vocazione narrativa, la storia documentata e la piacevolezza della fiction.
Il libro, che esce a ridosso dell’incipiente stagione dei Pride, è dedicato proprio ai 50 anni dei Moti di Stonewall del giugno 1969, atto di nascita di una consapevole comunità gay e trans in tutto il mondo.
I tre poeti di cui racconta Buffoni, anch’egli poeta oltre che studioso e narratore, sono Byron, Wilde e Auden, uomini vissuti in epoche assai diverse ma assimilati da uno stesso desiderio e stessi conflitti.
Per saperne di più su questo libro, contattiamo l’autore che, con la medesima casa editrice, ha già pubblicato opere di successo come Zamel (2009) e Come un polittico che si apre (con Marco Corsi, 2018).
Franco, come mai hai scelto di scrivere un libro che ha per protagonisti questi tre grandi poeti della nostra tradizione letteraria?
Byron, Wilde e Auden non furono solo poeti , furono anche uomini d’azione, grandi narcisisti e personaggi pubblici: presero coraggiose posizioni politiche e civili e le difesero, vennero esaltati, adorati, ma conobbero anche l’esilio e la polvere. Due pub tre poeti e un desiderio racconta la loro storia come se insieme avessero vissuto una vita sola. Come se fossero stati una sola persona, che fino a trentasei anni è Byron, dai trentasei ai quarantasei è Wilde, dai quarantasei ai sessantasei è Auden. La narrazione affronta questioni di gender, alcuni aspetti della vita intima e dell’arte, il rapporto con la società e le sue leggi in tre vicende umane esemplari, che si snodano dallo “scandalo” londinese dello White Swan alla rivolta di Stonewall.
La vita di tre poeti “sintetizzata” in una sola vita?
Sì, in una vita sola. Come se fosse una sola persona, che vive tre infanzie e tre giovinezze, due età mature e una sola vecchiaia. Un personaggio che fino a trentasei anni è Byron, dai trentasei ai quarantasei è Wilde, dai quarantasei ai sessantasei è Auden. Con la gogna scampata di Byron che diventa il carcere duro di Wilde e poi l’arroganza di Auden nel non voler parlare della “cosa” con chi non ne è degno.
La morte di Byron a trentasei anni – disperata per l’amore non corrisposto di Lukas – viene riscattata dal successo mondano e letterario di Wilde, con Londra ai suoi piedi e Bosie al fianco. La morte di Wilde a quarantasei anni – disperata in un alberghetto parigino dalla tappezzeria inguardabile – viene riscattata dal successo mondiale di Auden fino alla luce irradiata cinquant’anni fa da Stonewall e dal Manifesto del Gay Liberation Front.
Fondamentalmente si tratta della stessa persona, perché i tre poeti hanno lo stesso carattere e sono spinti dalle stesse motivazioni: mutano soltanto – ma troppo lentamente – le epoche.
Quali sono i tratti comuni di questi tre poeti?
In décalage verso il coming out, Byron, Wilde e Auden sono tutti e tre sposati: Byron con fama di tombeur de femmes, ma capace di innamorarsi solo di ragazzi e di uomini giovani come Pietro Gamba e P.B. Shelley; Wilde dai modi effeminati ma padre di due figli che dopo il disastro cambieranno cognome; Auden, esplicito sul proprio orientamento sessuale sin dai tempi del college, e sposato per generosità a Erika Mann. Tutti e tre sono accomunati dal fatto di essere in anticipo sui tempi. Auden con una determinazione che lo rende inviso e ingombrante persino alle “velate” della sua epoca come T.S. Eliot; Wilde con una testardaggine “radicale” e un “pride” nei confronti del proprio sentire tanto esemplari da farne una perfetta vittima; Byron certamente – malgrado le apparenze – il più fragile dei tre, il più bisognoso di rassicurazioni, e comunque il più lesto nella scelta della via di fuga dall’Inghilterra.
Qual è la novità del tuo romanzo dal punto di vista stilistico?
Dopo tanta autofiction, questo è il primo libro italiano di fictional criticism: altra cosa rispetto alle biografie e alla critica impressionistica. Qui non si impone nulla, ma si porta il lettore a condividere, mettendo insieme – metodologicamente – Sainte-Beuve e Proust, vita e analisi, finzione e critica. E grazie all’invenzione delle tre vite in una, alla fine si legge l’opera come un romanzo cubista. Se i pittori cubisti infatti rappresentano l’oggetto da punti di vista spaziali diversi, questo libro rappresenta il suo oggetto da tre tempi diversi, ponendosi come vera e propria interrogazione metaletteraria.
Di Due pub, tre poeti e un desiderio vi presentiamo un capitolo in anteprima esclusiva.
LA STORIA DI DUE PUB
La nostra storia può anche simbolicamente distendersi tra due pub: lo White Swan di Vere Street a Londra, che si situa nel cuore della vicenda byroniana; e lo Stonewall di Christopher Street a New York, che si staglia al tramonto della vicenda audeniana.
The White Swan era un pub per “iniziati”, che l’8 luglio del 1810 divenne teatro di un’incursione poliziesca, con accusa di sodomia per tutti i presenti: il reverendo John Church vi stava celebrando un matrimonio tra due uomini. L’immediato processo portò a due esecuzioni capitali precedute da gogna e a una lunga serie di condanne al carcere duro, sempre precedute da gogna, contro la cosiddetta Vere Street Coterie: la cricca di Vere Street. Cospicuo fu anche il seguito di collaterali suicidi, di figli costretti a cambiare cognome, di famiglie ridotte in miseria.
Byron era ancora in Grecia, praticamente senza giornali. E nella lettera del 13 gennaio 1811, l’amico Charles Skinner Matthews – in tono in apparenza scanzonato – gli scrive da Cambridge raccontandogli del giro di vite nei confronti dei cittadini di tutte le classi sociali colti in flagrante, dei suicidi e dell’infittirsi delle condanne alla gogna e all’impiccagione. E con chiaro riferimento ai favori sessuali, aggiunge: “Ciò che tu ottieni dai tuoi amici turcomanni con poche sterline, noi qui lo otteniamo rischiando l’osso del collo”. E ancora: “Your Lordship’s delicacy would, I know, be shocked by the pillorification in the Hay Market of a club of gents who were wont to meet in Vere Street…” Naturalmente il termine ‘pillorification’ non esiste; è la storpiatura di pillory(gogna) come se fosse glory con glorification. Ma il sarcasmo di Matthews riesce solo a drammatizzare ulteriormente l’ignobile pratica. Nella stessa lunga lettera Matthews rileva che il clima di odio fomentato dalla stampa nei confronti dei cultori della ‘paiderastia’ si va facendo sempre più torbido. E scrive il termine in greco: ma la pi greca maiuscola con cui la parola inizia viene allargata a dismisura sul foglio fino ad assumere la forma di una forca stilizzata. Matthews e Byron avevano allora ventitré anni.
Avviciniamo dunque le terribili vicende dello White Swan a quelle di Stonewall in una sorta di ideale rivendicazione. La notte di venerdì 27 giugno 1969, poco dopo l’una, la polizia fece irruzione nello Stonewall Inn al Greenwich Village senza un particolare mandato. Si trattava del classico controllo di routine a cui tutti i locali gay venivano frequentemente sottoposti. Ma quella notte accadde qualcosa di assolutamente inedito. Invece della consueta pavida acquiescenza da parte di gestore e clienti, due transessuali – Sylvia Rivera e Marsha Johnson – lanciarono contro i poliziotti una scarpa con tacco a spillo (altre cronache dicono un boccale di birra, altre una bottiglia di gin). Fatto sta che gli agenti furono presto sopraffatti dalla reazione violenta di molti altri clienti del bar e dovettero darsi alla fuga.
In seguito si disse che la nascente comunità gay quel giorno fosse emotivamente in tensione perché aveva appena partecipato ai funerali di Judy Garland, icona gay ancor prima che esistesse l’espressione. Come sempre, nelle sommosse popolari, la reazione scatta quando la misura è colma: la notte successiva i poliziotti giunsero al Village in forze, e gli scontri ricominciarono ancora più violenti; le stime parlano di duemila persone che, sul calco di black power, scandivano lo slogan “gay power” contro quattrocento poliziotti sempre più sbalorditi di fronte ai ‘faggots’ (checche, froci) che osavano ribellarsi. Riscattando così in un’unica enorme ribellione, tante precedenti umiliazioni, a partire per esempio da quel 21 febbraio del 1903 in cui avvenne la prima incursione di cui si abbia memoria in una sauna gay: l’Ariston Hotel Baths a New York. Ventisei arresti, con conseguenti processi, condanne per sodomia, pene da quattro a venti anni di carcere, suicidi, famiglie in rovina.
Proprio perché a dare l’avvio alla rivolta in quella notte del 27 giugno 1969 furono due transessuali, oggi i Gay Pride si svolgono in tutto il mondo il 28 giugno e sono ricchi di colori; ma non sono affatto delle ‘carnevalate’, bensì degli inviti corali a coniugare con rabbia il coraggio della visibilità all’orgoglio del come si è.