Un nuovo studio relativo alla controversa opera I Neoplatonici di Luigi Settembrini, curato da Domenico Conoscenti, è stato recentemente pubblicato dalle edizioni Mimesis. Questa nuova pubblicazione intende aggiornare l’opera postuma dell’eroe del Risorgimento, passata sotto silenzio e ritenuta per decenni scabrosa da quanti non riuscivano a conciliare l’immagine del padre della patria con le tematiche della narrazione e, del resto, lo stesso Settembrini si era impegnato a nascondere questo suo scritto.
Dunque, sfidando il diffuso silenzio su questo testo, l’obiettivo principale di questa pubblicazione sembra essere la volontà di intercettare sia all’interno del racconto che nel corpus degli scritti editi e inediti, pubblici e privati, le tracce del punto di vista dell’autore e l’individuazione di un consapevole progetto letterario, coerente con la visione, anche politica, della sua maturità.
La trama di censure, che ha lasciato inedito il manoscritto per quarant’anni dalla data della “scoperta”, nasce dalla rappresentazione di una serena relazione omosessuale, ambientata nell’antica Grecia, ma scritta in Italia in pieno Ottocento da Luigi Settembrini, ex ergastolano, poi rettore universitario nonché senatore del Regno d’Italia.
Per saperne di più, contattiamo il curatore Domenico Conoscenti.
Domenico, cosa ti ha spinto a curare una nuova edizione critica de I Neoplatonici di Luigi Settembrini? Qual è il “messaggio” che questo libro può ancora comunicare alla nostra contemporaneità?
Il libro è stato edito da Mimesis in quanto vincitore nel 2016 del Premio Studi GLBTQ, indetto dal Centro di documentazione Maurice di Torino. Su suggerimento di quest’ultimo, ho deciso di pubblicare una versione del racconto (non si tratta di una vera “edizione critica”) più aderente al manoscritto originale, rispetto ai testi tuttora in circolazione, che lo restituisce alle intenzioni sia ritmiche che di senso volute da Settembrini. Un corrispettivo della mia lettura del racconto e delle sue vicende, sottratta a qualche errore sedimentatosi attorno al testo nel corso degli anni, il tentativo, in estrema sintesi di ripercorrerlo avvicinandomi quanto più possibile allo sguardo dell’autore.
Le vicende del testo, anonimo e pubblicato nel 1977, un secolo dopo la morte di Settembrini, ci mostrano un periodo, non lontanissimo peraltro, intrinsecamente e pervasivamente omofobico anche in ambito artistico e intellettuale fino a circa gli anni Sessanta. Un primo implicito “messaggio” del libro, a mio avviso potrebbe consistere nel non dimenticare quel passato, non del tutto e non interamente passato purtroppo, e nel vigilare per scongiurare disastrosi ritorni indietro. Un secondo “messaggio”, altrettanto attuale, è contenuto nel racconto in sé, nella narrazione ariosa e leggera di varie modalità di vivere la relazione sessuale e affettiva, nella pacifica convivenza di scelte diverse.
Per anni I Neoplatonici sono stati oggetto di censura, una censura certamente caratterizzata dal diffuso sentimento omofobico nutrito dallo stesso Benedetto Croce. Pensi sia ancora motivo di disagio presentare I Neoplatonici come opera di un serio patriota del Risorgimento italiano? Come interpreti il silenzio di Benedetto Croce e di tanti altri intellettuali rispetto all’opera di Settembrini?
Nel mio lavoro, il ruolo di Croce nella censura del testo, è fra i punti che, tramandati ostinatamente, ricevono una lettura differente. I Neoplatonici, “scoperto” casualmente da Raffaele Cantarella nel 1937, fu pubblicato solo dopo 40 anni, con una Introduzione dello stesso studioso che racconta anche le vicende del testo. Ad un certo punto egli scrive che Benedetto Croce e Francesco Torraca (celebre letterato, che era stato allievo di Settembrini) erano al corrente dell’esistenza del manoscritto e che non ritennero opportuno pubblicarlo. Tuttavia, in una lettera di Emidio Piermarini (bibliotecario alla Biblioteca Nazionale di Napoli) a Cantarella, riportata subito dopo, si legge per ben due volte che furono proprio loro due, i corrispondenti, a decidere di lasciare inedito il racconto. Nella stessa lettera leggiamo che Croce, interpellato successivamente, non si mostrò sorpreso dell’esistenza del manoscritto, che se ne uscì con una sorta di commento-boutade, «Essendo stato così a lungo col greco Luciano…» e… e nient’altro. Il ruolo di Croce pare essere stato il nome eccellente, inattaccabile, di cui farsi scudo per motivare o giustificare la scelta censoria. Tuttavia una parte dei lettori dell’Introduzione (fra cui lo scrittore Giorgio Manganelli) cade nella tela delle giustificazioni per il silenzio quarantennale, e la “notizia” ripetuta si trasforma in dato stabilmente acquisito.
Con questo non intendo giurare sull’assenza di sentimenti omofobici in Croce, dico solo che la vicenda ci mostra come certa l’omofobia di Piermarini e Cantarella (e di tutta la società del tempo, naturalmente), per i quali il sospetto che Settembrini potesse avere avuto (o anche solo desiderato) esperienze omosessuali, avrebbe rappresentato una macchia infamante sulla biografia immacolata del Padre della Patria, dello scrittore, professore, rettore dell’università di Napoli, intellettuale attivo e militante, senatore del neonato Regno d’Italia, nonché sposo fedele e affettuoso padre di famiglia. Decidere di pubblicare un racconto che rappresenta una relazione omosessuale gratificante e accettata dalla società, significava assumersi questa enorme responsabilità, il che ci dà il senso tangibile di cosa si intenda per ‘cultura omofobica’ senza bisogno di troppi discorsi. Bisognerà attendere gli anni Settanta perché anche in Italia si pubblichino testi letterari in cui l’omosessualità appaia secondo un’ottica serena o comunque non negativa in sé. I Neoplatonici arriva infatti pochi anni dopo la traduzione di Maurice di Forster e dopo Ernesto di Saba: una triade di opere che ha in comune, oltre alla qualità estetica, anche la pubblicazione postuma decisa dagli autori (per restare in tema di omofobia).
Cosa ha di innovativo la tua lettura dei I Neoplatonici di Settembrini rispetto alle edizioni precedenti?
Sul proprio testo l’autore non ha lasciato scritto nulla, al contrario di quanto ha dedotto qualche lettore interpretando in maniera errata dei passaggi dell’Introduzione di Cantarella. Oltre a confutare questi e altri fraintendimenti, a proporre una nuova datazione, a lasciare deluso il lettore in cerca di un outing postumo, la mia lettura tenta un’analisi dei Neoplatonici sulla base degli indizi che Settembrini ha disseminato nel racconto stesso e in tutta la sua produzione, pubblica e privata, fino a ora accessibile. L’ambito di indagine più vasto riguarda la traduzione che Settembrini conduce dell’opera di Luciano di Samosata, un autore di lingua greca del II secolo dopo Cristo; si tratta di un confronto che mette in evidenza i modelli di rappresentazione dell’omosessualità con cui il traduttore entra in contatto prima di delineare i personaggi del proprio racconto. La pederastia da un lato (il rapporto libero fra un uomo adulto nel ruolo attivo con un adolescente nel ruolo passivo) e dall’altro il rapporto fra uomini adulti (connotato dal biasimo per colui che svolgeva il ruolo passivo e dallo scherno per l’eventuale effeminatezza di uno o di entrambi) sono i modelli che egli trova in Luciano e che vengono però abbandonati e riscritti del tutto nel racconto. A questo si aggiunge il superamento della misoginia – complemento di un certo maschilismo della cultura greca – che spingerà i protagonisti a un matrimonio d’amore con due fanciulle e alla creazione di una feconda famiglia “borghese”, pur continuando ad amarsi fra loro. Settembrini, insomma, in un sottinteso ma puntuale dialogo con alcuni testi di Luciano e altri di Platone, preannuncia (senza saperlo, è chiaro) sia un nuovo modello relazionale dell’omosessualità, basato sulla parità dei ruoli, sia un altrettanto nuovo modello (solo maschile) di gratificante bisessualità.
L’analisi letteraria mette in rilievo le relazioni affettive e sociali dei personaggi e cerca di individuare il modello narrativo a cui si ispira Settembrini per la costruzione del suo racconto osceno sino a metà, che di fatto è consapevolmente costruito come un’originale, e del tutto antistorica, favola di formazione. C’è infine il tentativo di dimostrare in che modo questo racconto, improbabile come “ transfert” di esperienze legate alla reclusione, sia comunque espressione della personalità del Settembrini post-unitario, passato dagli ideali repubblicani all’ammirazione per la monarchia sabauda, che accentua il proprio anticlericalismo e l’insofferenza verso l’ipocrisia, ma innamorato della classicità e della tradizione letteraria italiana, che per lui non era mai stata un esercizio retorico, ma tutt’uno con l’idea dell’Italia e del suo amore per lei.
Sul Settembrini patriota si sofferma poi la limpida Prefazione di Maya De Leo, che inserisce I Neoplatonici all’interno del nazionalismo ottocentesco, osservato attraverso la percezione della mascolinità e dell’omosessualità.