Slittata dal 3 al 20 maggio, l’udienza d’appello contro la decisione del Tribunale di Tunisi del 23 febbraio 2016, che aveva autorizzato l’attività di Shams, si è conclusa ieri con un verdetto a favore dell’associazione Lgbti.
L’appello, presentato il 20 febbraio scorso dall’incaricato di Stato per i contenziosi, muoveva dal presupposto che, proibendo la legge tunisina l’omosessualità sulla base dell’articolo 230 del Codice penale del 1913 (che, largamente modificato nel ’64, commina fino a tre anni di reclusione per atti privati di sodomia tra adulti consenzienti), proibirebbe dunque anche l’attività di associazioni in difesa di «tali pratiche».
Shams potrà così continuare a esercitare in piena legalità per la difesa dei diritti delle persone Lgbti.
Alcuni giorni prima della sentenza l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhchr) aveva inviato una lettera al Governo tunisino esprimendo la propria preoccupazione per il tentativo di chiudere l’associazione.
Nella missiva si rilevava come lo scioglimeto di Shams avrebbe costituito una violazione del principio di non discriminazione nonché dei diritti di libertà d’opinione, espressione e associazione secondo gli articoli 2, 19, 22 e 26 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (Pdicp), ratificata dalla Tunisia il 18 marzo 1969.