A due giorni dalla morte di Binyavanga Wainaina la Corte Suprema del Kenya ha respinto il ricorso per l’abrogazione delle Sezioni 162-165 del Codice Penale, che vietano esplicitamente i comportamenti omosessuali tra uomini (anche se il termine “persona” presente nella Sezione 162 è interpretato come inclusivo delle donne).
In Kenya, dove i rapporti «contro natura» sono condannati fino a 14 anni di prigione, sono state arrestate, tra il 2013 e il 2017, 534 persone per «comportamenti innaturali».
Per gli attivisti le Sezioni 162-165, basate su una legge dell’era coloniale, violerebbero la nuova Costituzione del Kenya, che, promulgata nel 2010, garantisce l’uguaglianza, la dignità e la privacy per tutti i cittadini. Nel ricorso avevano anche presentato argomenti basati sull’abrogazione d’una legge consimile da parte dell’India in agosto scorso.
Ma l’Alta Corte ha spiegato che una decisione in senso contrario avrebbe potuto aprire la strada ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, non permessi dalla Costituzione. «Riteniamo che la Sezione del Codice penale su cui è stato presentato ricorso non sia incostituzionale – ha annunciato la giudice Roselyne Aburili -. Per questo respingiamo il ricorso».
A detta della Corte non ci sarebbero prove sufficienti per dimostrare che le leggi criticate provochino discriminazione. Anzi, tali normative rispecchierebbero i valori del Paese.
Il verdetto è stato fortemente criticato dall’Alta Commissaria Onu per i diritti umani Michelle Bachelet, che ha dichiarato: «Criminalizzare atti che colpiscono individui in base a chi sono e chi amano è intrinsecamente discriminatorio. Si invia inoltre un segnale pericoloso alla società che incoraggia l’ostilità e persino la violenza nei confronti delle persone Lgbt».
Bachelet ha quindi affermato: «Il mio messaggio al popolo del Kenya è di combattere per una maggiore uguaglianza per tutti e di non mollare mai. Le Nazioni Unite sono al vostro fianco e si uniscono a voi nelle vostre richieste di dignità, parità di diritti e un trattamento equo».