“Certamente è condivisibile che voi facciate questa processione, anche se spesso si dice che non bisogna ostentare simboli religiosi. Anche la processione ha un valore religioso e sono felice che la facciate. In bocca al lupo quindi, e speriamo che nessuno pensi di poter impedire una manifestazione democratica. Fate del vostro meglio, anche perché i valori cristiani sono alla base della nostra identità e tradizione: bisogna cercare di sostenerli”.
Con queste parole il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana ha dato alcuni giorni fa sostegno alla processione riparatrice che il comitato San Geminiano Vescovo ha indetto sabato 1° giugno a Modena in concomitanza col 1° Pride nella città emiliana.
Il video, che riporta le sue dichiarazioni mentre è accanto al giovane leghista Alberto Bosi (poi eletto consigliere comunale a Modena), è stato pubblicato ieri in esclusiva da Radio Spada. Ma la notizia è rimbalzata solo oggi in occasione della conferenza stampa di presentazione del Modena Pride a cura di Francesco Donini, presidente del locale comitato d’Arcigay.
Oscurata dalle elezioni europee, la polemica sulla processione riparatrice era divampata sabato 25. Due ragazze si erano infatti baciate e fatte fotografare davanti a uno dei manifesti della manifestazione religiosa che, affissi in città, recano la classica immagine del Sacro Cuore coronato di spine e sovrastato da una fiamma e una croce secondo i moduli iconografici delle rivelazioni a santa Margherita Maria Alacoque.
Un richiamo inequivocabile non solo a passate edizioni di manifestazioni consimili (si pensi alle processioni soddisfattorie in occasione dei Pride di Reggio Emilia e Pavia nel 2017 o a quelle in occasione dei Pride di Varese e Rimini nel 2018) ma a una visione di Chiesa, che guarda meno a Francesco che a san Pio X.
Pontefice, quest’ultimo, venerato come campione dell’antimodernismo, che, guarda caso, torna spesso proprio nei discorsi del ministro Fontana, la cui vicinanza al milieu ultraconservatore cattolico è ben nota.
In ogni caso, al di là di valutazioni d’ordine teologico sulla validità o meno del concetto di preghiere riparatrici (la cui fortuna è sussegguente proprio alle citatae apparizioni cordicolari di Paray-Le-Monial ed è segnata dagli interventi pontifici da Pio IX in poi per subire un ampio ridimensionamento a partire dal dopoconcilio) verrebbe da chiedere ai promotori perché, stante l’assioma che “un pubblico peccato richiede una pubblica riparazione”, non organizzino mai processioni o recite di rosari per riparare gli scandali della violenza sulle donne, dell’abuso sui minori, dello sfruttamento dei lavoratori, dell’evasione fiscale o della corruzione sistemica, giusto per fare qualche esempio. Domande, di cui si fa presto a non sorprendersi considerando l’ambito di provenienza di tali manifestazioni.
Quello, cioè, del cattolicesimo ultraconservatore della Fraternità di San Pio X (sbrigativamente conosciuti come lefebvriani) e dei raggruppamenti a esso contigui, non a caso apparentati o sostenuti da movimenti culturali e politici di estrema destra.
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