Dallo scorso 3 giugno Alessandro Baracchini è nuovamente anchorman di Rai News24, dopo l’esperienza di caporedattore esteri che lo ha tenuto lontano dallo schermo per diversi anni.
Il suo coming out nel 2012 è stato uno dei primi tra i volti della televisione, il primo in diretta, e ha dato un grande contribuito alla visibilità arcobaleno anche nell’ambito dell’informazione.
Alessandro, qual è la cosa più bella che ricordi di quel coming out?
La sorpresa di scoprire che poche parole dette spontaneamente in tv avevano cominciato a fare il giro d’Italia di sito in sito e il giorno dopo sui giornali. Ma se parliamo della cosa più bella, devo dire senz’altro alcuni messaggi ricevuti, in particolare quello della mamma di un adolescente gay che mi ringraziava per aver dato a suo figlio un’immagine di tranquilla rispettabile normalità.
Cosa porti con te dell’esperienza di caporedattore esteri?
Ho cominciato nella stagione terribile degli attacchi dell’Isis a Parigi, seguiti da altri massacri in Europa e nel mondo. Ma anche del cambiamento politico nell’Occidente, con la Brexit e l’ascesa di Trump. Fatti da seguire con gli Inviati sul posto, con l’organizzazione di spazi di approfondimento. Ho imparato tanto su come guidare una redazione e su molti meccanismi produttivi e aziendali. Ma ora torno al ruolo che mi è più congeniale.
Essere ogni giorno in studio, dal lunedì al venerdì in un orario chiave per Rainews 24 come quello 12:30-15:00. Cosa significa per te essere anchorman?
L’anchorman è il conduttore che resta in studio come punto di riferimento mentre tutto gira intorno. Mi piace “smistare il traffico”, trovare le parole e il tono giusto per passare da notizie tragiche, che purtroppo dobbiamo dare, a quelle più curiose o anche divertenti, cercando prima di tutto un’empatia con chi ci segue da casa. Per questo è importante trovare il tuo anchorman in onda ogni giorno alla stessa ora, e se lo merita, puoi fidarti di lui.
Cos’è cambiato dopo il coming out nel tuo ambito lavorativo?
Tra i colleghi niente, direi. Ero già molto aperto con tutti. Non ho mai creduto che essere omosessuale debba restare un fatto privato, tantomeno nascosto. Ma sicuramente qualcuno avrà pensato che cercassi pubblicità. Se fosse stato così avrei accettato i diversi inviti di quei giorni nei programmi tv del pomeriggio. Ma non l’ho fatto, non ho cercato di diventare un “personaggio”, ho continuato a lavorare come prima.
Qual è la cosa migliore che una tv nazionale può fare per le persone Lgbti?
Raccontare le loro vite, farli conoscere. Siamo cittadini tra gli altri e come gli altri. Siamo gradualmente usciti allo scoperto e non intendiamo tornare a nasconderci. Conoscere le differenze aiuta tutti e cura l’omofobia.