Da circa un anno il Saifip (Servizio per l’adeguamento tra identità fisica e identità psichica, Azienda ospedaliera S.Camillo-Forlanini di Roma), punto di riferimento nella regione Lazio per le persone trans che vogliono iniziare il percorso di transizione e per le loro famiglie, ha stretto una collaborazione con Ora d’aria. Quest’associazione, che si occupa principalmente di persone trans vittime di tratta, aiuta le persone transgender che vogliono compiere il percorso di transizione, ma che si trovano in difficoltà economiche.
Per saperne di più, abbiamo raggiunto telefonicamente Maddalena Mosconi, psicologa, psicoterapeuta, psicodiagnosta, responsabile “Area Minori” del Saifip) e Carmen Bertolazzi, presidente dell’associazione Ora d’aria.
Dott.ssa Mosconi, può farci un bilancio dell’attività del Saifip dalla sua creazione ad oggi? Quali gli aspetti positivi e quali i negativi?
Sono 22 anni che lavoro al Saifip e in tutto questo tempo tante cose sono cambiate. Prima fra tutte le caratteristiche della nostra utenza. Gradualmente l’età in cui le persone arrivano al nostro servizio si è sempre più abbassata. Sono aumentati di molto i minorenni: adesso le famiglie sono più consapevoli e i genitori portano da noi i loro figli che hanno bisogno del nostro aiuto. È aumentata anche l’informazione sulla tematica di genere tra i vari professionisti del territorio (psicologi, neuropsichiatri, pediatri), che inviano le famiglie al nostro servizio e con cui noi continuiamo a collaborare per la gestione della situazione.
In secondo luogo sono cambiate le caratteristiche che sta assumendo la varianza di genere, prima arrivavano persone con una “disforia di genere” chiara che avevano intenzione di fare tutto il percorso sia ormonale che chirurgico. Adesso, soprattutto tra gli adolescenti, stiamo assistendo a un importante aumento delle condizioni definite “gender fluid”, persone che non vogliono fare necessariamente tutto il percorso medico ma semplicemente esplorare la loro identità di genere; il cambiamento più eclatante, così come in tutti i servizi specializzati del mondo, è l’aumento delle persone di “sesso biologico femminile”.
Un altro cambiamento è legato alla sempre maggiore collaborazione che abbiamo con tutte le associazioni del territorio, considerando molto preziosi e utili i consigli degli utenti.
In questi anni di lavoro al Saifip abbiamo attraversato mille difficoltà: in tante occasioni hanno cercato di far chiudere il nostro servizio, ma noi abbiamo resistito “con le unghie e con i denti” nel continuare a portare avanti il nostro lavoro, che con gli anni è diventato anche una grande passione.
Le criticità fanno riferimento soprattutto alla totale mancanza di fondi sia da parte del nostro ospedale e sia dalla Regione Lazio. Nel 2012, con la crisi della sanità, ci hanno tolto tutti i fondi che prima ci stanziavano e per questo abbiamo dovuto instituire dei ticket aziendali, il cui ricavato, in parte, rimane all’ospedale stesso. Con i ticket pagati, tutti a carico dell’utenza, dobbiamo far fronte alle tante attività che richiede portare avanti un servizio come il nostro.
Come nasce la collaborazione con l’associazione Ora d’aria? Quali gli obiettivi?
La collaborazione con l’associazione Ora d’aria è nata per la presa in carico, per il percorso psicologico e medico, per le persone vittime di tratta; in particolare siamo venuti incontro alle esigenze di questa fetta di popolazione così “danneggiata” e bisognosa, attraverso la riduzione della metà dei costi del percorso psicologico.
In seguito abbiamo pensato alla possibilità di organizzare degli Apericena per la raccolta fondi per persone transgender in particolari condizioni di vulnerabilità, il cui ricavato è gestito dall’associazione Ora d’aria che valuta i requisiti per erogare questi fondi. Penso che queste serate siano anche l’occasione per stare insieme in un mondo meno formale e permettere alle tante famiglie con persone transgender di conoscersi e sentirsi meno soli.
Carmen, quando nasce e di cosa si occupa l’associazione Ora d’aria?
L’associazione Ora d’aria nasce più di 30 anni fa e il suo impegno iniziale è stato mirato alle carceri, all’epoca nella fase di apertura post riforma penitenziaria. In carcere ho incontrato le prime persone trans, seguendole anche all’esterno. All’epoca venivano rinchiuse nel reparto precauzionale di Rebibbia a Roma, insieme agli stupratori, informatori, forze dell’ordine, ecc…ossia nel reparto non accettato dagli altri detenuti. Oggi la situazione è cambiata, seppur presenta sempre molte criticità. Partecipiamo a una rete informale di associazioni, che a livello nazionale si occupano delle persone trans detenute. Da 20 anni ci occupiamo anche di vittime di tratta e di sfruttamento, in particolare di persone Lgbti che non troverebbero accoglienza. Le incontriamo anche nelle Commissioni territoriali di Roma, a cui si rivolgono per ottenere lo status di rifugiate. E infine abbiamo aperto uno sportello Altri Generi.
In che modo state aiutando le persone trans che si rivolgono a voi?
Sosteniamo le persone trans vittime di tratta e di sfruttamento all’interno di un progetto (Pral), finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità e promosso dalla Regione Lazio. Due case di accoglienza, recupero scolastico, percorsi formativi, attenzione al proprio benessere e accompagnamento all’autonomia. Ma le richieste di aiuto sono molte e diverse, soprattutto da persone straniere in estrema vulnerabilità, senza casa, soldi, malate. Per loro non esistono servizi e il fatto di essere trans comporta difficoltà, se non impossibilità a trovare una soluzione. I servizi, più che binari, sono discriminatori.
Per questo abbiamo aperto lo sportello Altri generi, supportato dai fondi dell’8×1000 della Tavola Valdese e dalle donazioni che raccogliamo con iniziative che organizziamo in collaborazione con il Saifip (come l’oramai collaudato apericena, che si terrà anche stasera). Servono per aiutare economicamente persone T in grave difficoltà, senza fissa dimora, sex workers, anziane. Ma anche giovani e famiglie che non possono sostenere i costi di un supporto psicologico e del percorso obbligatorio per la perizia necessaria per una transizione anagrafica e chirurgica. Arrivano giovani cacciati di casa, privi del supporto familiare, famiglie che devono affrontare in solitudine il percorso di transizione dei figli e delle figlie senza alcun sostegno per loro stessi, ma vedo anche tanta determinazione. È uno spaccato di quanto poco facciano le istituzioni in questo campo. Servirebbero case di accoglienza a bassa soglia, posti dedicati nelle case di riposo, servizi gratuiti, supporti psicologici a carico del Servizio sanitario Nazionale e tanto altro. Ancora tanto per cui lottare.