In Ungheria un componente di Fidesz (il partito di Orbán) ha ieri invitato a boicottare la Coca-Cola, per aver sponsorizzato il Sziget Fest 2019 attraverso la campagna #Loveislove: un chiaro messaggio a favore della parità dei diritti per le persone Lgbti.
I cartelloni pubblicitari del marchio statunitense, insieme con quelli della kermesse musicale (slogan dell’anno è Love Revolution) che inizierà il 7 agosto a Budapest e terminerà il 13, mostrano coppie di persone dello stesso sesso sorridenti con tanto di scritta Zero zucchero, zero pregiudizi.
Per quanto definita «provocatoria» dal deputato István Boldog (già noto per l’intervento del 13 gennaio in Parlamento contro il Budapest Pride) e come tale attaccata da media filogovernativi , la campagna della Coca-Cola sembra però trovare il consenso della maggior parte della popolazione ungherese.
Proprio oggi la multinazionale produttrice della celebre bibita (la quale, in passato, è stata oggetto di ben altre campagne di boicottaggio, come la Stop Killer Coke del 2005, con l’accusa di grave violazione dei diritti umani in Colombia) ha dichiarato che il Sziget Festi – per il quale sono attese più di mezzo milione di persone – è pienamente in linea coi suoi principi fondamentali in materia di parità dei diritti.
«Crediamo – ha dichiarato in una nota – che le persone sia etero sia omosessuali abbiano il diritto di amare la persona che vogliono nel modo che desiderano».
Per tale ragione il boicottaggio lanciato da Boldog è durato meno di 24 ore. Lo stesso partito Fidesz ha smesso di sostenerlo, dicendo che gli ungheresi sono liberi di scegliere se bere o meno Coca-Cola.
Tamás Dombos, attivista di Háttér, ha affermato che il governo è omofobo ma anche consapevole della crescente accettazione della vita di coppia delle persone Lgbti da parte della società.
«Abbiamo la sensazione che stiano testando le persone su questo argomento – ha dichiarato alla Reuters -. L’intera propaganda del governo è costruita sul conflitto e hanno bisogno di nemici. Dopo l’Unione Europea, i migranti, le ong, persino i senzatetto. Ora potrebbe essere la volta delle persone Lgbt».
Anche se, come provato da uno studio della menzionata associazione Háttér del 2018, quasi due terzi della popolazione ungherese – rispetto alla metà del 2002 – crede che le persone omosessuali dovrebbero essere libere di vivere come vogliono.
La situazione ungherese, dunque, sembra differenziarsi non poco da quella polacca, dove il tema Lgbti è divenuto un cavallo di battaglia comune del PiS e della gerarchia cattolica.
Certo non è mancata durante l’anno qualche dichiarazione di particolare gravità da parte di rappresentanti istituzionali come quella del portavoce del Parlamento che ha equiparato l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso alla «pedofilia in senso morale». Ma si tratta di casi meno frequenti rispetto a quelli che si registrano nel Paese di Wojtyla.
Lo stesso Orbán ha raramente affrontato il problema in modo diretto. L’ultima sua presa di posizione esplicita risale a un’intervista del 2016, quando disse che le persone omosessuali «possono fare quello che vogliono ma non possono far riconoscere i loro matrimoni dallo Stato… Una mela non può chiedere di essere chiamata una pera».