Non si placa la querelle per il webfilm Riccione che, ideato da Rai Pubblicità e realizzato dalla casa di produzione Melasento, avrebbe dovuto promuovere la nota località balneare romagnola presso «un pubblico giovane».
Questo, almeno, il parere espresso orgogliosamente da Stefano Caldari, assessore comunale al Turismo, allo Sport e alla Cultura, che ha poi cercato di smarcarsi dalla polemica, dichiarando che l’amministrazione di Riccione non ha mai concesso alcun patrocinio o sostegni particolari al corto Rai.
Ma la pezza, nel caso in questione, risulta essere peggiore del buco, perché a riprova di una collaborazione tra Comune di Riccione e Rai Pubblicità al riguardo resta un post trionfalistico della sindaca Renata Tosi, che smentisce in toto le affermazioni di Caldari.
A sollevare la questione il 5 agosto il locale comitato Arcigay Alan Turing che, attraverso il presidente Marco Tonti, ha definito, il web movie di quasi 40 secondi, «uno spot becero e sessista» e, nello specifico, «un concentrato di banalità, luoghi comuni, consumo di alcol fino all’ubriachezza, ma soprattutto inarrivabile in quanto omofobia e sessismo».
A essere particolarmente lampante, continua Arcigay, «l’omofobia profonda del personaggio gay basato sullo stereotipo trito e ritrito di quello che ci prova con tutti, che lancia occhiate libidinose, che prova a toccare i protagonisti, e che per questo rischia di essere aggredito (sempre nel webmovie) da uno degli altri personaggi, i “veri maschi”.
Una rappresentazione che si pensava ormai superata e relegata alle commediole degli anni ’80 e che invece Riccione rilancia con energia». Il tutto condito dallo scambio di battute: «Puoi chiamarmi Checco. Eh sì, me lo immaginavo che potevo chiamarti checca».
Ma a colpire è anche «la sponsorizzazione e il product placement di Durex, coi loro preservativi. In una scena iniziale uno dei protagonisti si rivolge a una sex worker, e mostrare in quel momento il preservativo sarebbe almeno stato un messaggio di prevenzione e di tutela della salute. E invece i preservativi vengono mostrati attaccati allo specchietto retrovisore di un tassista come “promemoria” per non fare più figli.
In una scena successiva il tassista investe la bicicletta di una bambina e il tassista offre un preservativo al papà (con la bambina presente) come per dire: avresti dovuto pensarci prima. Non parliamo del fatto che l’esposizione alla luce solare nel cruscotto dell’auto può compromettere l’integrità dei profilattici, anche in questo caso un messaggio molto discutibile. Sorprende che la Durex abbia accettato di sponsorizzare questo tipo di pubblicità intriso di sessismo, omofobia, di alcol a fiumi, di sesso non protetto, di uso scorretto del loro prodotto».
Non si è affatta attendere la replica di Rai Pubblicità, che in una nota ha scritto: «Leggiamo con sorpresa e dispiacere alcune dichiarazioni polemiche che si sono susseguite negli ultimi giorni in relazione al film web Riccione. È utile ricordare che essendo un prodotto costruito per la distribuzione su Youtube, il film è composto da alcune delle realtà di maggior successo del mondo dei Creators del digitale. Da questi vengono quindi ripresi tormentoni e stili comici evidentemente legati al nonsense propri del contesto di riferimento.
Nello specifico, ad esempio, il personaggio del bagnino, evocato nei giorni scorsi, è diventato un tormentone social, proprio dopo avere partecipato, sempre in chiave parodistica, ad una nota trasmissione televisiva, interpretando il ruolo di rappresentante della “squadra del gay pride”.
Nessun intento offensivo quindi, e sarebbe assolutamente improprio creare collegamenti con temi e situazioni reali. Si tratta di un video web di intrattenimento nonsense di natura comica e di sottolineatura parodistica di luoghi comuni, che non rappresenta, ne ha mai avuto l’obiettivo di rappresentare in maniera realistica la città di Riccione».
Risposta ritenuta apprezzabile ma insufficiente da Marco Tonti, che ha ribadito: «Non si scherza sulla violenza».
I motivi sono stati così indicati dal presidente di Arcigay Rimini: «“Puoi chiamarmi Checco” “Eh sì me lo immaginavo che potevo chiamarti checca”.
La Rai, in seguito alle dichiarazioni di Arcigay Rimini, ha sottolineato che non esisteva nessun intento offensivo nella loro produzione che si è sviluppata sui tormentoni di youtuber e autori “che piacciono ai giovani”. Se da una parte possiamo apprezzare questa dichiarazione d’intenti a posteriori, risulta ancora molto indigesto il risultato che abbiamo potuto vedere.
La Rai è la tv pubblica e la maggiore industria culturale di questo Paese, e vedere che se ne lava le mani dicendo, in pratica, “abbiamo solo assecondato quello che volevano fare gli youtuber e comunque è una parodia” è una dichiarazione di fallimento culturale molto preoccupante. Un prodotto può essere più o meno riuscito, ma da un ente pubblico ci aspettiamo molta più responsabilità sui contenuti.
La difesa poi del fatto che l’attore abbia partecipato nella fazione “gay pride” a una nota trasmissione non è un vaccino contro l’omofobia di cui è intriso lo sketch. L’intento parodistico presuppone intelligenza e sottigliezza, e soprattutto consapevolezza di quello che si fa. Al di là della rappresentazione stereotipata e molesta che se ne è stata data (in dispregio ai decenni di battaglie culturali che quotidianamente portiamo avanti), il passaggio più inquietante è lo scatto d’ira del personaggio “corteggiato” che deve essere trattenuto a forza per non agire una violenza fisica scatenata solo dal fatto che il bagnino immagina che gli altri due protagonisti maschi abbiano una relazione: “Non l’avevo capito che stavate insieme” dice il bagnino gay – “no ma tu non hai capito niente” (si alza in modo minaccioso) – “no fermati”, dice l’altro cercando di trattenerlo – “Io mi devo fermare?!” e rivolto al bagnino “Ma come ti permetti”. Il bagnino indietreggia spaventato e scappa.
Sarà anche una parodia, ma è la parodia di fenomeni di violenza e aggressioni omofobiche che purtroppo succedono ogni giorno, che sono successe anche nelle città della riviera romagnola con una preoccupante frequenza nelle ultime settimane e che purtropo continuano a succedere. Scherzare così sulla vita delle persone è misero e ingiustificabile perché suggerisce che una violenza fisica, ma anche solo verbale, è una cosa su cui si può ridere.
La Rai e il cast protagonista di questo bruttisimo scivolone dovrebbero ammettere l’errore e scusarsi con le moltissime persone che si sono giustamente sentite offese e ferite, magari tornando in Romagna per un evento pubblico di solidarietà. Un evento magari sponsorizzato da Durex la quale, dietro mia comunicazione, si è limitata finora a rispondere “grazie per il suo interessamento nel nostro marchio».