Violette Leduc è stata senza dubbio una delle personalità più interessanti e complesse della civiltà letteraria del ‘900 europeo. Apprezzata da Genet, Sartre e Cocteau, arrivò al successo nel 1964 con quello che, presto, sarebbe diventato un best seller: La bastarda, autobiografia letteraria in cui Leduc parla in maniera esplicita dei suoi amori con altre donne.
A luglio 2019 Eleonora Tarabella, nel 2017 aveva dedicato un saggio a Virginia Woolf intitolato Ti dico un segreto. Virginia Woolf e l’amore per le donne, ha pubblicato, con la casa editrice Enciclopedia delle donne, un’opera dedicata a Violette Leduc.
Raggiungiamo telefonicamente Eleonora per saperne di più di questa nuova pubblicazione.
Nel tuo libro La donna brutta: vita e scrittura di Violete Leduc ti occupi di una scrittrice che in Italia si conosce poco…
Sì, effettivamente, eccettuato il suo romanzo La bastarda che fece scalpore nel 1964, pochissimi suoi libri sono stati tradotti in italiano. Il film Violette per la regia di Martin Provost ha contribuito a ricordarla ma ho pensato che fosse necessario dedicare a Violette Leduc ulteriore attenzione.
Anche se si tratta di una figura decisamente fuori dai canoni…
Sì, e a dire il vero non può essere considerata iconografica né per la letteratura lesbica né per quella femminista, posto che queste definizioni esistano in ambito letterario.
Eppure il romanzo Teresa e Isabella parla dell’amore fra due collegiali. Non pensi che Leduc sia stata innovativa nell’affrontare il legame fra due compagne di scuola?
Un capitolo del mio saggio analizza proprio l’originalità di Teresa e Isabella di Violette Leduc rispetto ad altri testi dove compaiono amori fra compagne di collegio. Penso alla protagonista di Memorie di una ragazza per bene di Simone de Beauvoir che s’innamora di Zazà, o a Olivia di Dorothy Strachey o, ancora, a Judith innamorata di Jennifer in Risposte nella polvere di Rosamond Lehman. Teresa e Isabella vanno oltre: vivono il loro rapporto sul piano erotico e non hanno remore, così come non ne ha Leduc nel descrivere i loro amplessi senza cadere nella volgarità anzi, lasciando intuire la ricerca di una fusione quasi mistica al di là del sesso.
Hai citato Simone de Beauvoir. Nel tuo libro racconti che ebbe un ruolo fondamentale nella vita di Violette Leduc.
La spronò sempre a scrivere, essendo rimasta folgorata dal suo primo romanzo: L’asfissia. Beauvoir redasse la prefazione a La bastarda di Leduc e citò i suoi libri in varie opere. La sostenne e la patrocinò spesso, se così si può dire…
Ma la loro amicizia è andata oltre, almeno per quanto riguarda Violette.
Sì, Leduc era innamoratissima di Simone de Beauvoir. E ha continuato ad esserlo per tutta la vita anche se non era ricambiata. Ne L’affamata, Leduc rivela con molta schiettezza i propri sentimenti che sfioravano toni melodrammatici, teatrali, perché quanto più il suo amore si rivelava a senso unico, tanto più il desiderio si amplificava, si esasperava.
E Simone de Beauvoir come reagiva?
Si teneva a distanza, non ingenerava mai false aspettative, riportava sempre tutto sul piano del lavoro. “Avete lavorato?” Chiedeva costantemente a Leduc. Sapeva che la scrittura, per lei, era fondamentale: era vita, sfogo emotivo, un’ancora di salvezza nei momenti più difficili.
Nel tuo saggio affronti anche il tema della follia e accosti Violette Leduc a un pittore come Van Gogh e a una pittrice come Séraphine de Senlis. Cosa li accumunava?
Il ricovero in un ospedale psichiatrico, la necessità di rendere l’arte un mezzo per esprimersi attraverso un linguaggio di rottura, la povertà, il sentirsi escluse, emarginate, senza nome, senza famiglia, senza appartenenze. Violette Leudc aveva letto le lettere di Van Gogh al fratello Theo, aveva visto alcuni quadri di Séraphine de Senlis e si era idenfiticata con loro. In lei la passione letteraria si accompagnava all’amore per la pittura. Anche per la musica.
Ebbe infatti una lunga relazione con una professoressa di musica…
Sì, per nove anni. E fu travagliata come tutti i suoi amori.
Amori impossibili. Nel tuo libro spieghi come s’innamorasse anche dei suoi amici gay.
Non ricambiata, per forza di cose. Amò Sachs, Guérin, Genet.
La donna brutta: il titolo del tuo saggio è di forte impatto. Perché questo titolo?
Perché Simone de Beauvoir, nelle lettere all’amante americano Nelson Algren, la chiamava così: la femme laide. Per Violette Leduc sentirsi brutta equivaleva ad essere esclusa, additata, derisa.
Accadeva davvero?
Sì, qualche volta veniva presa in giro per il suo aspetto ma era lei stessa ad alimentare la propria emarginazione. Aveva recepito, fin dall’infanzia, il rifiuto da parte della madre come unica forma di relazione.
Il rapporto con le donne, gli amori impossibili, la scrittura: affronti queste ed altre tematiche. Che cosa ti aspetti da La donna brutta: vita e scrittura di Violette Leduc?
Che questa scrittrice venga letta, che si parli di lei. Perché era povera, folle, con un caratteraccio davvero insopportabile. Ma trovava, sulla carta, parole di una bellezza pura e assoluta. Simone de Beauvoir, Camus, Genet e Cocteau, fra gli altri, se ne accorsero. È dunque il caso che non subisca più emarginazioni.