Il conoscere la derivazione dei termini con i quali si definiscono gli stati e le condizioni umane delle persone è, direi, fondamentale. Dalla loro vera origine si può spiegare la storia del mondo e la storia della persona umana.
Prendendo in considerazione epoche relativamente recenti, l’origne del nome transessualismo lo faremmo partire dalla metà del 1800 e, precisamente, da Karl Heinrich Ulrichs, scrittore e giurista tedesco, considerato il pioniere nell’epoca moderna del movimento di liberazione omosessuale. Infatti nel 1867 divenne il primo gay dichiarato a parlare pubblicamente dei diritti delle persone omosessuali al congresso di giuristi tedeschi a Monaco di Baviera. Nelle sue ricerche da scrittore e persona omosessuale Ulrichs iniziò a considerare per la prima volta l’identità di genere con riferimento a chi vestiva in abiti diversi dalla biologicità del proprio corpo.
Il punto di partenza per la ricerca sull’identità di genere non fu di tipo medico ma umano e con riferimento ai diritti, considerando che Ulrichs era un giurista. Ma subito dopo, verso il finire del 19° secolo, Magnus Hirschfeld, neuropsichiatra e scrittore tedesco – anche lui omosessuale e conosciuto nel mondo per l’attivismo contro il paragrafo 175 del Codice penale tedesco che criminalizzava l’omosessualità dal 1871 – riprese il lavoro di Ulrichs e lo ampliò trasformando la ricerca di un diritto in quella di una diagnosi che venne ufficializzata mezzo secolo dopo. Hirschfeld infatti fu il primo, a proposito delle persone, a iniziare una catologazione delle differenti tipologie della sessualità contribuendo a separarle sempre con una visione patologizzante. Fu infatti lui che coniò il termine travestitismo considerato dal punto di vista non omosessuale quale lui era ma dignostico/psichiatrico. Nonostante ciò nel 1919 Hirschfeld fondò a Berlino l’Istituto per la ricerca sessuale, che abbracciava musei, biblioteca, servizi educativi e consulti medici. Questo stesso istituto fu distrutto e bruciato dalla Gioventù hitleriana nel 1933.
Dopo la seconda guerra mondiale David Olivier Cauldwell, medico sessuologo statunitense, riprendendo a sua volta gli studi sulla sessualità di Hirschfeld, introdusse per la prima volta il termine transessualismo come patologia vera e propria per indicare chi desiderava cambiare il proprio sesso fisiologico.
Fu un contemporaneo di Cauldwell, il sessuologo ed endocrinologo tedesco Harry Benjamin, a determinarne definitivamente la patologia di disforia di genere e a condurre al riguardo studi psichiatrici di approfondimento. Fu lui a ispirare numerosi saggi di ricerca in tal senso contribuendo a fondare l’Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association. Quest’organismo, attualmente conosciuto come Associazione Mondiale professionale per la salute transgender (Wpath), se da un lato è prezioso per quanto riguarda la salute fisica delle persone trans, dall’altro è troppo rivolto alla patologia di genere, patologia psichiatrica che si rifà molto al modello binario maschio-femmina, uomo-donna. Famosa rimane di Harry Benjamin l’opera Il fenomeno transessuale (1966), dove si definì come affetta da disturbi dell’orientamento sessuale la persona trans aprendo più tardi la strada alla coniazione dell’espressione disforia di genere quale patologia psichiatrica del transessualismo, inserita dal 1980 nel Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Negli anni questo manuale è stato “arrichito” di diverse versioni: dalla prima del 1952 (DSM1) a quella del 2013 (DSM5). E, nella sola versione del 1973, s’espulse l’omosessualità dalla classificazione psicopatologica.
Comunque sono vari i movimenti cresciuti dagli anni ’80 del secolo scorso in poi per contrastare la patologia che pesa sulla testa delle persone trans. Il transgenderismo, ad esempio, è nato negli Usa nel 1980 e rilanciato in Italia da Helena Velena, attivista, scrittrice e musicista trans, negli anni immediatamente successivi. Esso indica un movimento politico che contesta la logica eteronormata e binaria secondo la quale i sessi dell’essere umano sono solo due. Nel 1990 nacque la teoria queer. A coniarne la formula fu Teresa de Lauretis, scrittrice e accademica italiana. La teoria nacque sulla scia delle opere di Michel Foucault e dagli studi di genere e dalle teorie femministe e lesbiche oltre che gay. La pansessualità, invece, è una teoria che definisce la persona umana onnicomprensiva di qualsiasi orientamento sessuale.
Nel contesto e nell’epoca in cui viviamo ci fa bene rivisitare la storia, riconsiderare che, al contrario, non è tutto statico. Ma che il nostro è un mondo in divenire, dove le certezze vengono messe in discussione e le speranze e i sogni possono, se vogliamo, prendere il loro giusto posto. Non è una favola quella che dico ma una realtà e una concreta risposta di speranza sul genere umano. Ci hanno rubato le nostre libertà, le nostre aspirazioni, i nostri desideri e le nostre identità in divenire. Non ci hanno solo sfruttato fisicamente ma con il sistema economico capitalistico ci hanno rubato la capacità dei nostri cervelli, hanno messo dei freni alle nostre intelligenze e impedito di vivere la vita alla ricerca della felicità O, alla maniera di noi donne e uomini trans, ci hanno impedito di capire cosa vuol dire la favolosità, la serenità interiore.
Così al termine transessualismo continua a essere sottesa l’accezione di diagnosi di malattia, tuttora presente nel DSM5, come diagnosi psichiatrica. Quindi, sino ad ora, gli studiosi – quasi tutti sessuologi e psichiatri – hanno studiato, visto, considerato le persone trans come persone con difficoltà psichiche dalla nascita e, quindi, come classificazione/categoria psichiatrica.
(- continua)