A Napoli, presso la sede del Consiglio regionale della Campania, si terrà nel pomeriggio il convegno Norme per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni da orientamento sessuale o dall’identità di genere. Finalizzato all’illustrazione dello progetto di legge campano, depositato negli scorsi mesi, l’evento sarà moderato da Antonello Sannino, presidente del comitato d’Arcigay Napoli, e vedrà, fra gli altri, l’intervento del consigliere Carmine De Pascale. Presente anche il magistrato Stefano Celentano, giudice del tribuanale di Napoli ed esperto in materia dei diritti delle persone Lgbti.
A lui – che è uno dei redattori del pdl regionale – abbiamo posto alcune domande per sapere di più di una proposta che, qualora approvata, allineerebbe la Campania a Toscana (legge regionale n. 63 del 2004), Liguria (legge regionale n. 52 del 2009), Marche (legge regionale n. 8 del 2010), Sicilia (legge regionale n. 6 del 2015), Umbria (legge regionale n. 3 del 2017).
Giudice Celentano, com’è nato questo progetto di legge regionale?
L’iniziativa è nata per volontà del consigliere De Pascale e delle associazioni Lgbti del territorio campano, in particolare di Arcigay. In assenza di una legislazione nazionale in materia e in piena sintonia con consimili iniziative di altre regioni italiane essa risponde all’esigenza di approntare un testo di legge che, con gli ovvi limiti di una normativa regionale, possa predisporre interventi mirati a contrastare le condotte omofobiche, in un percorso fruttuoso che coniughi le esigenze di fare prevenzione, di reprimere fenomeni discriminatori, e di attuare, a largo spettro, un’operazione culturale sul tema della tutela dell’orientamento sessuale.
Nel redigere il testo di legge ci si è serviti di quelli di altre Regioni?
Nell’elaborazione del testo abbiamo analizzato tutti i testi regionali già in vigore. E questa è stata una metodologia corretta al fine di uniformare, sopratutto come “identità”, i singoli interventi locali sul tema. Anche nell’ottica di offrire al legislatore nazionale uno stimolo ulteriore e comune a predisporre una normativa nazionale.
Quali sono i punti principali di questo pdl?
Il pdl si occupa di diverse aree tematiche, che spaziano dalla formazione e lavoro alla sanità e assistenza fino all’integrazione sociale. Con l’obiettivo primario di garantire alle persone Lgbti la libera espressione e manifestazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere, assicurando parità di condizioni di accesso agli interventi e ai servizi ricompresi nelle materie di competenza regionale.
La legge spazia, dunque, dalla previsione di specifici interventi in materia di formazione del personale delle istituzioni regionali alla promozione di politiche attive del lavoro che tendano alla rimozione di ogni ostacolo o esclusione per motivi legati al proprio orientamento sessuale, nonchè a garantire che l’accesso alle prestazioni sanitarie nelle strutture pubbliche non possa in alcun modo causare pregiudizio alla dignità delle persone Lgbti. E, questo, anche sotto il profilo delle garanzie di assistenza da parte dei familiari o di soggetti estranei allo stretto nucleo parentale, e degli aspetti relativi al consenso informato ai trattamenti sanitari da parte di questi ultimi laddove le persone Lgbti siano impossibilitate a prestarlo. Di particolare rilievo è poi la previsione di forme di garanzia del concreto esercizio della responsabilità genitoriale delle persone Lgbti all’interno degli istituti scolastici pubblici.
Si è parlato di lavoro. Come sarebbero tutelate le persone Lgbti al riguardo?
La legge tende a garantire che nello svolgimento del lavoro le persone Lgbti non subiscano discriminazioni legate al proprio orientamento sessuale, promuovendo apposite campagne formative rivolte al personale di tutte le istituzioni regionali. Si tratta di rinforzare la sensibilità sociale sul tema e di evitare che il proprio orientamento sessuale finisca per diventare un motivo di esclusione sociale anche nei luoghi di lavoro.
Secondo lei questo pdl sarà contrastato nel suo iter dalle forze di opposizione?
Mi auguro di no. Il mio ruolo mi impone di non occuparmi delle dinamiche politiche all’interno delle istituzioni. Il testo è equilibrato poichè, per gli ovvi limiti normativi di ogni legge regionale, si presenta come una dichiarazione di principi, intenti e finalità, sui quali potrebbe esserci una convergenza comune.
D’altra parte, la tutela dell’orientamento sessuale, i termini di declinazioni di diritti e di divieti di forme di discriminazione è oggi diritto vivente secondo quanto statuito dalla legislazione e dalla giurisprudenza sovranazionale, per cui il “paradigma antidiscriminatorio” è una regola giuridica e sociale indiscutibile, rispetto alla quale ogni differente argomentazione non ha alcuno spessore
Ha parlato prima di un probabile stimolo al legislatore nazionale. Dunque, l’approvazione di una legge regionale potrebbe spingere a riprendere la discussione del ddl parlamentare contro l’omotransfobia?
Anche questo è un auspicio: il disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia giace su un binario morto del Senato ormai da qualche anno. Una seria ripresa della discussione sul tema sarebbe auspicabile.
C’è però da ricordare che, come evidenziato da molti giuristi dopo l’approvazione del ddl Scalfarotto alla Camera, il testo nazionale, come manipolato con gli emendamenti finali, è stato così stravolto nella sua formulazione che pare non essere più ben chiaro neanche nelle sue finalità. Per cui un dibattito più proficuo e meno ambiguo sul tema imporrebbe una sua riformulazione più organica e maggiormente identitaria nell’individuare in primo luogo con chiarezza l’intenzione del legislatore.
Perché è così difficile approvare a suo parere una simile norma nel nostro Paese?
Il nostro Paese soffre di una lentezza endemica sui temi dei diritti civili. La legge sulle unioni civili è arrivata con un immenso ritardo alle tante raccomandazioni degli organismi comunitari. Senza dimenticare il sofferto iter parlamentare che ne ha preceduto l’approvazione. Le analisi sociali delle ragioni di questa incapacità di legiferare con chiarezza sul tema della tutela dell’orientamento sessuale sono ben note e affondano le radici nell’elasticità con cui spesso viene declinato il concetto di “laicità” delle istituzioni. Ma anche in una certa impreparazione tecnico-giuridica del legislatore oltre che in alcune visioni politiche che privilegiano la trattazione di temi “urgenti”. Come se la dignità affettiva e relazionale delle persone non lo fosse. Se la politica nazionale tornasse a fare cultura sui temi dei diritti, l’intera società progredirebbe in un sano percorso di crescita della propria sensibilità sociale.