Nel corso del Congresso territoriale del 15 dicembre il comitato Arcigay Antinoo di Napoli ha eletto il nuovo direttivo e la nuova presidente.
A risultare eletta Daniela Lourdes Falanga, componente di spicco della collettività trans italiana, che, da almeno un decennio, svolge un’importante attività di militanza e volontariato a favore delle persone Lgbti e delle minoranze in generale.
L’elezione di Daniela alla guida di un comitato Arcigay di particolare importanza, qual è quello di Napoli, è senza dubbio una notizia positiva anche perché la comunità transessuale/transgender più numerosa d’Europa (seconda al mondo, dopo Rio de Janeiro) risiede proprio a Napoli.
Contattiamo la neopresidente per sapere qualcosa in più del suo progetto politico e delle connesse aspettative .
Daniela, quale eredità raccogli dalla precedente gestione e quali saranno le priorità della tua presidenza?
Il passato direttivo ha prodotto molto in sei anni: ha sviluppato un numero tale di reti di collaborazione e azioni sul territorio da renderlo uno dei più attivi in Italia. Siamo stati capofila di numerosi progetti, abbiamo attivato buone prassi e garantito fruibilità e capillarità su tutto il territorio. Abbiamo incontrato migliaia di ragazze e ragazzi nelle scuole. Siamo entrati nelle carceri non dimenticandoci che la dignità è un bene prioritario e non distinto.
Ci siamo occupati di tanti migranti Lgbti per sostenerli attraverso permessi speciali e restituirli a una vita più serena. Almeno un po’ più serena. Abbiamo anche acquisito la capacità di realizzare test per Hiv in sede Arcigay, per ovviare ai timori che, a volte, condizionano ragazzi e ragazzi rispetto a contensti e dinamiche sensibili.
Sarà prioritario portare avanti tutto questo e quanto ancora dovremo realizzare, rispetto a temi quali il lavoro, la condizione delle persone anziane, la prostituzione. I destinatari sono le persone “rese” fragili per inadempienze istituzionali e discriminazione. Sono numerosi ragazzi e ragazze che, vivendo il disagio della colpa, della solitudine, desiderano realizzare un percorso di consapevolezza e fierezza della propria identità.
Una persona trans alla presidenza di un comitato Arcigay. Una vera rivoluzione?
Forse una rivoluzione in atto, ma non la prima. Diverse compagne e compagni in questo momento vivono l’esperienza della presidenza. Non è facile. Arcigay rimane un’associazione prevalentemente maschile, per quanto se ne voglia dire, con dinamiche annesse. Prima di essere una persona trans, sono una donna. Forse la più grande rivoluzione ancora da compiersi: è abbattere dall’interno una politica di genere prioritariamente maschile.
Ti trovi a guidare il comitato di Napoli in un momento di evidente criticità politica nazionale per le persone Lgbti. Cosa credi che sia opportuno fare?
Dobbiamo ripartire dalla storia del nostro Movimento, ricordarci delle battaglie per i diritti acquisiti, ricordarci di essere ancora di quella parte che la voce la deve alzare per raggiungere l’uguaglianza. Bisogna rivivere le piazze: farlo concretamente come adesso ci stiamo ricordando e ricordano soprattutto le donne. Dobbiamo attraversarci in maniera complessa, attraverso analisi politiche profonde e di massa, e concentrarci in un fronte comune, maturo, che sappia fronteggiare la politica dei moralismi. Che sappia far crescere la consapevolezza che un diritto negato è una battaglia di tutti, perché la libertà è un diritto inalienabile umano.
I confini reggono le politiche attuali e hanno provocato troppa morte e disumanità. Allora dobbiamo essere migranti, donne. Bisogna essere persone trans, disabili, omosessuali: bisogna aver chiaro che la storia si cambia quando non ci sentiamo diversi per le battaglie dei diritti.
Cosa significa per te l’impegno nel volontariato? Quanto dedica della propria vita, una donna impegnata come te, all’azione nel sociale?
Per me il volontariato è una missione, una vocazione. È prioritario il bene comune prima di qualsiasi bene che possa toccare la mia persona. Trovo egoistico non pensare in questi termini. Incontriamo persone che vogliono ritrovare speranza. Vederli sorridere è ciò che mi preoccupa più di tutto. Il sociale è la mia vita e non smetti di viverlo mai, neppure la notte, perché non ha confini, appunto.
Un tema sensibile per tutte quelle persone, che scelgono di viverlo, anche da professionisti, e rimangono precari a vita, nell’ingiusta incuria dello Stato che invece dovrebbe prendersi cura di innumerevoli risorse che portano avanti, con pochi mezzi e grandi responsabilità, emergenze continue. Ma se muoiono bambini in mare, come si può pensare che ci siano risorse umane? Resistenza.