È appena attraccato nel porto di Catania la Sea-Watch 3, la nave dell’ong battente bandiera olandese con 47 migranti a bordo, partita poco dopo le 05:30 dalla rada di Santa Panagia, dove era ancorata da venerdì scorso a un miglio dalle coste siracusane.
Durante gli scorsi giorni esponenti non solo della cittadinanza ma anche delle associazioni umanitarie e Lgbti locali, unendosi all’appello del sindaco Francesco Italia, hanno domandato con pubbliche manifestazioni che si consentisse lo sbarco delle 47 persone.
Abbiamo raggiunto Valerio Colomasi, nativo di Siracusa e vicepresidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli di Roma, per raccoglierne le valutazioni.
Valerio, puoi darci il tuo punto di vista su quanto accaduto nella rada di Santa Panagia a proposito delle Sea-Watch 3?
A Siracusa è andato in scena l’ennesimo spot elettorale in vista delle elezioni europee. Il governo, Ministro dell’Inferno in primis, ha capito che bloccare su una barca degli esseri umani, per di più già stremati da un viaggio terribile e dalle torture subite in Libia, è un investimento politico che rende molto. Innanzitutto, consente di distrarre l’opinione pubblica, una circostanza utile quando su ogni tema (dalla Tav alla giustizia) i due partiti di governo fanno a gara a chi smentisce prima l’altro. Poi è utile anche per ragioni meramente elettorali. Il governo giallo-verde sta raccogliendo i frutti di una campagna di odio portata avanti da anni e che adesso porta voti come mai prima d’ora.
Per questo è importante più che mai resistere, come hanno fatto tanti cittadini e cittadine nella mia città. Siracusa, come tutta la Sicilia, è una terra di accoglienza e di commistione culturale. Senza i “migranti” la Sicilia non sarebbe quella che è oggi. La nostra cucina, il nostro dialetto, le nostre tradizioni sono il frutto dell’integrazione di culture estremamente diverse tra di loro e che in quella terra meravigliosa hanno trovato il modo di convivere e di crescere insieme.
Cosa ne pensi delle denunce rilasciate dal sindaco Francesco Italia – che ha parlato d’una sorta di prigionia – sulle condizioni dei migranti a bordo della Sea-Watch, compresa la presenza di minori?
I racconti del sindaco Italia e dei parlamentari che sono riusciti a salire a bordo della Sea-Watch sono purtroppo l’ennesima conferma di quello che sapevamo già da tempo. In Libia non ci sono “porti sicuri”, ci sono campi di prigionia e di tortura. Pensare di rimandare nelle mani dei propri torturatori coloro che sono riusciti a scappare mi sembra raccapricciante.
Quanto alla loro permanenza forzata nella nave credo che il termine “prigionia” sia quasi insufficiente a descrivere la gravità di ciò che accade. Quelle persone sono state “sequestrate” con l’intento di ottenere un “riscatto” politico. Che questo sia maggiore partecipazione europea nella redistribuzione dei migranti o, più semplicemente, visibilità e voti alle prossime elezioni cambia poco, si stanno comunque sottoponendo delle persone innocenti a una tortura del tutto ingiustificata. Si sta tentando di cancellare la loro dignità, i loro diritti umani per il presunto bene della nostra comunità nazionale. Ogni essere umano dovrebbe sentire la necessità di opporsi a questa politica disumana.
L’altroieri a Roma sotto Montecitorio l’iniziativa Non Siamo Pesci ha raccolto moltissime adesioni e tantissima gente. Eppure, era pressoché scarsa quella di associazioni Lgbti? Non ti sembra che questo tema, in generale, non venga trattato con la necessaria attenzione politica, considerati i tempi che stiamo vivendo?
Credo che non sia una lettura del tutto corretta. Tantissime associazioni Lgbti stanno sempre più assumendo la questione migratoria come un punto fondamentale della propria azione, in termini sociali ma anche e soprattutto politici. In questi mesi in particolare ogni volta che ci si è trovati davanti a situazioni dolorose come il caso Diciotti o il caso Sea-Watch ci sono sempre state associazioni Lgbti in prima fila nella lotta.
Certo, manca una strategia complessiva (anche) su questa importante tematica ma questo non può cancellare il lavoro di tante e tanti di noi. Non ne faccio una questione di etichette associative, “nazionale” o “locale”: quello è un dibattito stanco che non ha mai portato niente di positivo alla nostra comunità. Di “nazionale” e di “locale”, se proprio occorre usare questi termini, si può parlare in relazione alle azioni messe in campo.
La lettera, con cui tante associazioni Lgbti hanno chiesto conto al governo della sua politica contro le persone migranti, è stata sottoscritta sia da quelle che una volta si sarebbero chiamate “associazioni nazionali” sia da quelle che avremmo definito “locali”. Ma quell’azione politica ha un valore assolutamente centrale per tutto il Paese, un valore pienamente “nazionale”.
Purtroppo tante persone anche all’interno della nostra comunità e delle associazioni Lgbti ritengono che questo tema non ci riguardi, che non bisogna parlarne troppo o a voce troppo alta per evitare di “inimicarsi” il governo. È un modo di considerare la nostra funzione politica e sociale alquanto miope, dal mio punto di vista. Noi sappiamo cosa vuol dire essere bersaglio di odio e discriminazione: non possiamo voltarci dall’altra parte quando qualcun altro ne è vittima.
Infine, non vanno dimenticati i servizi che vengono offerti nei territori. Noi come Circolo Mario Mieli portiamo avanti da anni progetti di assistenza e di integrazione, di cui siamo molto orgogliosi, e come noi decine e decine di associazioni in tutto il Paese. Probabilmente è arrivato il momento di assumere una maggiore iniziativa politica comune tra tutte le realtà che, come noi, hanno assunto questo tema come una priorità della propria azione politica. Noi, ovviamente, non ci sottrarremo.
Fra qualche mese si aprirà la stagione dei Pride e Roma dovrà affrontare questo evento, che accompagna un dibattito forte come quello della migrazione e dei diritti. Ci saranno iniziative significative ?
Innanzitutto, ci saranno i Pride. Non riesco a immaginare iniziative più pertinenti per parlare di uguaglianza, solidarietà e autodeterminazione. Noi come Roma Pride consideriamo da anni i diritti e la tutela delle persone migranti come un punto essenziale della nostra piattaforma politica. Quest’anno penso che lo faremo con ancora più forza.
Il Pride nasce come una rivolta degli “ultimi”. Il contributo delle persone immigrate ai moti di Stonewall è parte della nostra storia e deve servirci per orientare la nostra azione politica attuale, in particolare quest’anno che festeggeremo i 50 anni da quella favolosa notte.
Quanto ad altre iniziative abbiamo tanto in cantiere per i prossimi mesi. Sicuramente un primo appuntamento sarà Echo, il festival di cultura LGBT+, che come Circolo Mario Mieli organizzeremo il 17-18-19 maggio, durante il quale ribadiremo come la cultura è la nostra arma principale contro l’odio e l’intolleranza.
Poi ci saranno gli eventi legati al Roma Pride, che quest’anno festeggia 25 anni, nell’ambito del quale stiamo lavorando a iniziative che riguardano anche la questione migratoria, su cui per ora non voglio svelare nulla ma che speriamo di lanciare nelle prossime settimane.