«Sostegno a un’organizzazione terroristica», ossia ai Fratelli Musulmani. Questa l’accusa che si è sentita rivolgere dal pubblico ministero Malak al-Kashif, la 19enne donna transgender, arrestata lo scorso 7 marzo nella sua casa di Giza e detenuta in isolamento per tre giorni nella stazione di polizia di Al Haram. Qui secondo la Commissione per i Diritti e le Libertà Malak sarebbe stata oggetto di molestie e abusi, compreso il test anale forzato.
In Egitto i rapporti omosessuali, pur non condannati formalmente, sono perseguiti sulla base della legge 10/1961 contro la «dissolutezza e la perversione» direttamente finalizzata al contrasto della prostituzione. Una normativa anfibola, grazie alla cui elastica interpretazione le forze di sicurezza procedono con facilità soprattutto all’arresto di donne transgender, in quanto accusate di licenziosità o prostituzione, e alle connesse ispezioni corporee.
Ma la traduzione in carcere di Malak al-Kashif è formalmemte da correlarsi a diverse motivazioni come indicato dall’organizzazione Front Line Defenders, per la quale l’arresto è avvenuto in un’operazione della polizia condotta con il coinvolgimento della madre della giovane attivista. L’anziana donna sarebbe stata costretta a telefonarle e chiederle di venirla a trovare, motivando la richiesta con un peggioramento delle personali condizioni di salute. All’arrivo nell’abitazione materna la 19enne ha trovato la polizia, che l’ha immediatamente arrestata.
Come messo in luce da Lorenzo Forlani, inviato dell’Agi a Beirut ed esperto della situazione mediorientale, «l’aspetto quasi surreale è l’accusa che si è sentita rivolgere dal pubblico ministero: “sostegno a una organizzazione terroristica”. Il riferimento implicito è ai Fratelli musulmani, che usando un eufemismo non certo noti per la loro solidarietà verso la causa Lgbt. Malak al-Kashif non ha mai ottenuto, in questi anni, i documenti che attestano il cambiamento di genere, motivo per cui c’è la concreta possibilità che venga incarcerata in una prigione maschile.
La donna è nota per essere una promotrice dei diritti umani e attivista per la comunità Lghbt, ma non solo: dopo il deragliamento di un treno al Cairo lo scorso 27 febbraio, nel quale sono rimaste uccise 22 persone, al-Kashif è stata una delle più attive nel richiedere sui social media che i responsabili fossero puniti dalla legge, partecipando anche ad alcune proteste in solidarietà coi familiari delle vittime.
Negli ultimi anni in Egitto sono stati arrestati migliaia di attivisti di diversa affiliazione e orientamento, spesso con accuse vaghe. Per “legittimare” in qualche modo la repressione del dissenso le autorità egiziane tendono ad attribuire con estrema facilità agli accusati l’appartenenza o il sostegno alla Fratellanza musulmana, designata come organizzazione terroristica dal regime di Abdel Fattah Al Sisi, in gran parte dei casi senza alcuna prova».